mercoledì 10 dicembre 2008

Vincente Saltamadòs


"Una volta facevamo uno spettacolo al giorno. Il sabato e la domenica ne facevamo due. Ho sempre amato le pomeridiane, per via del vociare del pubblico. Il pubblico pomeridiano è chiassoso. Mi piace il chiasso, mi è sempre piaciuto. C'erano tre elefanti, quattro leoni, cinque cavalli, sei scimpanzè, sette trapezisti, otto pagliacci e poi il domatore dei leoni, la donna cannone. Io ero il presentatore".
Sono seduto sui gradini di legno della mia roulotte, in mano ho una tazza sbeccata piena di caffè Fhag solubile; il fumo che ne esce è così denso e profumato che ti invita a seguirlo mentre si spande nel aria fino ad incontrare la faccia della persona che mi sta parlando.
Vincente Saltamadòs, fratello di Ernesto il gagà, coo-proprietario del circo, ha un volto pieno di rughe. Ogni ruga è una storia da raccontare.
"Indossavo una giacca rossa (era di mio padre) con le punte lunghe lunghe; ai piedi calzavo stivali lucentissimi e neri come i baffi col ghirigoro che avevo: li lucidavo ogni sera prima di coricarmi. Poi avevo questo" mi mostra un cappello a cilindro sbrindellato e sbiadito "viene dall'America, sai? Lo portavo con un tale orgoglio..."
Gli occhi gli brillano e una lacrima scende giù.
Si asciuga gli occhi, si soffia il naso e spolvera con delicatezza il cappello.
"Il circo non si fermava mai, ogni settimana un paese diverso ci attendeva trepidante di curiosità e goloso di zucchero filato. E quando montavamo il tendone c'era sempre gente che guardava e che aspettava e che sognava...."
Gli occhi gli si posano sul tendone lercio e sdrucito di adesso.
Fissi e fieri come ieri.
"Tieni" mi fa tendenomi il cappello a cilindro "te lo regalo che a me non serve più. Viene dall'America, sai?"

Nessun commento: